Pubblicato il 13 Maggio 2021.
di Luca Ragazzi
La cerimonia di premiazione della 66ª edizione dei David di Donatello si è svolta in presenza, a Roma e, contrariamente a quanto avvenuto lo scorso anno, quando, causa lockdown, i candidati erano collegati da casa propria, il segnale andava e veniva, i bambini entravano in campo e altre amenità tipiche dell’epoca virtuale, seppur rigorosamente mascherati (e tamponati) erano tutti lì, seduti ai tavolini, con gli occhi lucidi e l’emozione palpabile anche da chi era a casa.
Per stare più distanziati si è pensato ad una cerimonia ubiqua, divisa in due luoghi. Quella vera e propria, condotta da Carlo Conti, volto rassicurante di mamma Rai, negli studi di via Nomentana, gli ex DEAR ora rinominati Studi Televisivi Fabrizio Frizzi, mentre al Teatro dell’Opera si trovavano le cosiddette maestranze (trucco, parrucco, scenografie, tecnici del suono etc…) che dai palchetti hanno goduto del loro momento di visibilità dopo una vita spesa dietro le quinte.
Certo, che la notte dei David non sia la notte degli Oscar lo abbiamo sempre saputo, ma visto che quest’anno anche loro non hanno fatto faville, (oltretutto crollati negli ascolti con il 58% in meno rispetto alla media) qualche emozione bella e sincera ce l’hanno regalata: innanzitutto la qualità dei film in gara era decisamente alta, con film del calibro di Volevo Nascondermi, Miss Marx, Le Sorelle Macaluso (purtroppo rimasto a bocca asciutta, ed era sicuramente uno dei titoli che avrebbe meritato di più) film premiati a Berlino come Favolacce (David a Esmeralda Calabria come miglior montatrice) o al festival di Venezia come I Predatori (David per il regista esordiente a Pietro Castellitto).
Per questa edizione, si è deciso di ammettere in concorso anche le pellicole che, a causa della pandemia, non hanno potuto godere della sala cinematografica e sono state quindi distribuite sulle piattaforme streaming. È il caso per esempio del film La vita davanti a sé, di Edoardo Ponti, che probabilmente in sala si sarebbe difeso bene. A non vincere nulla anche se avrebbe meritato molto, il film Cosa sarà, di Francesco Bruni, col bravo Kim Rossi Stuart, capace di mescolare dramma e leggerezza, ascrivendosi nel solco della tradizione all’italiana di cui Bruni (che nasce come sceneggiatore avendo firmato quasi tutti i film più belli di Paolo Virzì) è senz’altro portatore. Mentre il controverso film di Gianni Amelio, Hammamet ha vinto solo il David, meritatissimo, per il trucco, ovvero la protesi facciale in grado di trasformare un attore di grande talento come Pier Francesco Favino, in Bettino Craxi (anche se nel film il nome del leader socialista non viene mai pronunciato).
Il vincitore assoluto della serata, con ben sette David, tra cui i più importanti ovvero film, regia, e attore protagonista, è andato a Volevo Nascondermi, di Giorgio Diritti, sulla vita dell’artista reietto Ligabue, per cui il grande Elio Germano aveva già vinto a Berlino. Porta a casa anche il David per la bellissima fotografia di Matteo Cocco, per le acconciature (al veterano Aldo Signoretti), per il suono e per la scenografia. Il premio per la miglior attrice non protagonista va alla lanciatissima Matilda De Angelis per il bel film di Sydney Sibilia L’Incredibile storia dell’Isola delle Rose, che ha vinto anche con il miglior attore non protagonista, Fabrizio Bentivoglio, nel ruolo del ministro dell’interno Franco Restivo, e per gli effetti visivi. Miglior documentario è stato giudicato Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli, mentre miglior cortometraggio Anne e miglior film straniero 1917 di Sam Mendes.
Non sono mancati momenti toccanti, come quando il David per la sceneggiatura originale è andato al film Figli, scritto da Mattia Torre, prematuramente scomparso, e a ritirarlo è salita sul palco la giovanissima figlia. O quando Pier Francesco Favino ha lanciato un appello accorato al Ministro Franceschini, seduto in prima fila, ovvero di istituire nelle scuole (ma NON di pomeriggio!) la storia del cinema e del teatro, o quando il produttore Carlo degli Esposti, partendo dal discriminato Ligabue, ha ricordato i dimenticati di oggi, quelli senza una casa, i morti in mare e ha esortato gli italiani a cambiare.
Laura Pausini, che aveva aperto le cerimonie dal teatro dell’Opera sulle note della canzone nominata agli oscar Io sì, per il film di Edoardo Ponti (già vincitrice del Golden Globe), era data per super favorita, e deve esserci rimasta parecchio male (anche se, a onor del vero, ha sorriso sportivamente) quando il premio è andato a sorpresa a Checco Zalone (al secolo Luca Medici) con la canzone Immigrato dal film Tolo Tolo. Raggiunto anche lui in collegamento dalla sua abitazione pugliese, ha esordito esclamando “se lo sapevo che vincevo venivo!”. Poi ha cercato invano di svegliare la famiglia che, data l’ora tarda, era andata a dormire.
Tre i David Speciali. Quello alla carriera all’effervescente Sandra Milo, che con i suoi 88 anni non ha perso lo smalto che da sempre la contraddistingue, un David speciale a Diego Abatantuono, e infine uno anche a Monica Bellucci, in collegamento da Sofia dove sta girando il film di Paola Randi.
Uno dei momenti più emozionanti della serata è stato senza dubbio il David alla miglior interpretazione femminile, ovvero la grande Sophia Loren protagonista de La Vita davanti a sé, con la regia di suo figlio, che, visibilmente commossa, ha ritirato la sua nona statuetta (sette volte miglior attrice più un David speciale e uno alla carriera) che andrà ad arricchire le mensole della sua casa di Ginevra dove i premi di una vita sono stipati uno sull’altro, tra i due Oscar, i Nastri d’argento, le Coppe Volpi, gli Orsi e le Palme e lo spazio è praticamente finito (ma lo spazio per un David si trova sempre). Sono passati 60 anni tondi tondi da quel primo David per La Ciociara, ma la ragazza di Pozzuoli ha ancora negli occhi verdi la stessa luce, la stessa ironia e la stessa umiltà, quella che ancora ieri sera le ha fatto ricordare il talento del suo ultimo partner cinematografico, il giovane Ibrahima Gueye, (che avrebbe meritato una nomination) e che le ha fatto confessare che lei, senza cinema, non può vivere. Lei, che il cinema lo ha fatto e lo ha reso grande. Ce ne siamo resi conto noi tutti, in questo anno di clausura, quanto il cinema sia la nostra vita, e quanto, seppur da spettatori, la sala cinematografica ci sia mancata. E ora che sono riaperti, seppure con i posti contingentati, siamo subito accorsi facendo la fila indiana, neanche fossimo diventati tutti inglesi, misurandoci la temperatura e indossando la mascherina, abbiamo potuto (ri)assaporare quell’emozione che solo il grande schermo può regalare.
In apertura, Elio Germano, in una foto di Chico De Luigi, dal set di ‘Volevo Nascondermi’.