Pubblicato il 29 Novembre 2020.
di Daniela Brogi
«Ho conosciuto Garrone tempo fa, per caso, poi un giorno mi telefona per sapere se volevo fare Mangiafuoco. Il lavoro è stato quello di adeguarmi al trucco e mentre lo impersonavo mi sono accorto che questo personaggio potrebbe fare un film a parte. Questa figura solitaria, contornata di burattini animati seppure legati a un filo…». Le parole usate da Proietti per ricordare la sua partecipazione al cast di Pinocchio (Garrone, 2019) d’ora in avanti potranno avere un valore diverso, non solo perché ci commuovono per la scomparsa di un grande attore, ma perché sembrano alludere alla qualità di un talento artistico complessivo (di cui avere cura, senza farlo sparire dietro ai grandi successi del mattatore televisivo).
Il fatto è che nessuno aveva saputo far vivere in maniera così intensa quell’omone spaventoso ideato da Collodi e capace di commuoversi davanti a un burattino senza fili, interpretando e inscenando la vulnerabilità attraverso una delle situazioni che più esprimono il teatro del corpo umano, ossia uno starnuto.
È come se Mangiafuoco fosse una potente controfigura di Proietti. Entrambi, infatti, tanto la maschera quanto l’attore, prendono vita in un teatro popolare, in mezzo a un’oscurità che dilata le ombre, tra spettatori bambini catturati dalla scena, dentro uno spazio magico che è quello del teatro, ma, al tempo stesso, proprio in quanto spazio rituale, è anche la casa madre degli spettatori e dunque assomiglia tanto all’esperienza fisica, emotiva e rituale del cinema in sala. L’arte di Proietti ha reinventato e fatto vivere la possibilità, anche paradossale, di una consanguineità simbolica tra teatro e cinema.
Tutto è finto, ma nulla è falso, a teatro. D’altra parte questo illusionismo si dà anche nel buio della proiezione cinematografica. Grazie alla presenza di un pubblico che assiste alla visione, il teatro e il cinema in sala agiscono come arti sorelle. Entrambe ci chiedono di guardarle e di partecipare mettendoci il corpo e consegnandolo all’oscurità. Perciò quando Proietti, in un’altra intervista, ha commentato il suo rapporto con il cinema come un fidanzamento senza matrimonio, ecco che in quella definizione invece di un legame fragile possiamo invece sentir vibrare il senso di una fedeltà a un amore anche più grande, perché scavalca i recinti e consiste nell’arte di stare in scena, ogni volta, come se fosse la prima.
Proietti allora ci lascia, anche attraverso l’interpretazione di Mangiafuoco, il sentimento del cinema come gran teatro del mondo, e viceversa; il medesimo sentimento che oltre ai ruoli direttamente interpretati, risuona nei meravigliosi doppiaggi, e con un potere d’incanto anche più speciale, forse, nei personaggi in cui i territori della fantasia e dell’immaginazione fiabesca si dilatano. Si può provare, per esempio, a chiudere gli occhi, e a immaginare, insieme a Mangiafuoco, Rocky, Aladdin, Gandalf – ma in fondo appartiene a questa galleria pure Casanova di Fellini.
La voce/il vocione nell’ombra di Proietti li ha reincarnati, facendoli risuonare, nel buio fatato del cinema in sala, come grandi anime teatrali.