Pubblicato il 1 Dicembre 2021.
Dopo il successo a Cannes, il film del regista finlandese Juho Kuosmanen arriva nelle sale italiane dal 2 dicembre. Una storia profonda e delicata che fa viaggiare nel tempo, nello spazio e nei sentimenti.
di Leonardo Rafanelli
Nella Russia di fine anni ’90, terra di confine tra le vestigia di passati diversi e gli echi di altrettanti possibili futuri, un ragazzo e una ragazza si incontrano su un treno. Non potrebbero essere più diversi, in partenza, ma lungo il percorso imparano a conoscersi, a comprendersi, a mettersi in discussione e infine ad avvicinarsi l’uno all’altra.
Una storia in apparenza semplice, e si potrebbe dire anche “classica”. Si potrebbero citare addirittura altre pellicole costruite su un impianto simile, come Prima dell’alba di Richard Linklater. E invece Scompartimento n. 6 (Hytti nro 6) è un film che sorprende dall’inizio alla fine. Si comincia la visione carichi di aspettative e ipotesi, al pari dei due protagonisti. Ma solo per perdersi piacevolmente lungo le pieghe di questo viaggio, e ritrovarsi altrove alla fine della visione.
In effetti questa pellicola, terzo lavoro del regista finlandese Juho Kuosmanen, ha già sorpreso la platea di Cannes, dove ha conquistato il Gran Premio Speciale della Giuria in ex aequo con Qahremān di Asghar Farhadi.
Scompartimento n. 6, tratto dall’omonimo romanzo di Rosa Liksom, è un film raffinato e curato in ogni dettaglio, che pure parte da premesse tutt’altro che semplici. C’è la dimensione del road movie, che si dipana lungo le atmosfere dilatate caratteristiche della Russia nord-occidentale, e in un certo senso pure della fine del secolo scorso. C’è la dinamica della storia d’amore, che impone una certa profondità alla narrazione. C’è uno spazio scenico particolare – il treno – che offre opportunità ma comporta inevitabilmente anche delle limitazioni. Kuosmanen vince tutte queste sfide partendo da una scelta efficace: allontanarsi in parte dal libro, ambientato nell’Unione Sovietica degli anni ’80, per spostarsi in un contesto meno distante ma non privo di memorie e suggestioni che contribuiscono a dare spessore a luoghi e personaggi.
Momenti profondi e ironia sono dosati sapientemente, attraverso dialoghi ben scritti e mai ridondanti. La fotografia restituisce con efficacia i meccanismi del viaggio, anche attraverso momenti in cui si inserisce una lieve nota che ricorda il documentario. Il mix funziona, e fa sì che i personaggi ci appaiano reali e tridimensionali. Da una parte c’è la studentessa finlandese Laura (Seidi Haarla), inconsapevolmente in fuga da un mondo culturalmente elevato che ammira e ama, ma da cui non è ricambiata. Dall’altra c’è il minatore russo Ljoha (Yuriy Borisov), che vive alla giornata e per le sue “fughe” si affida alla vodka. A separarli, insieme al tavolinetto dello scompartimento, c’è una distanza culturale, emotiva, e anche di estrazione sociale. All’inizio è solo la meta ad accomunarli, anche se per motivazioni anch’esse opposte: lui va a Murmansk per lavoro, lei vuole vedere i petroglifi incisi sulla pietra dagli uomini primitivi. Il viaggio, tuttavia, li porterà ad aprirsi e a conoscersi, in un percorso di avvicinamento messo in scena con delicatezza e profondità.
La recitazione è uno dei punti di forza dell’impasto narrativo: è fatta di parole, ma anche di sguardi e atteggiamenti che lasciano percepire quel mondo interiore che si porta dietro chi viaggia. Gli anni ’90 restano tutt’altro che sullo sfondo, e si manifestano attraverso gli abiti, la musica e i telefoni a gettoni, mentre l’assenza dei cellulari e delle tecnologie che dilatano gli spazi costringe i personaggi a vivere il qui e l’ora. Note familiari appaiono sullo schermo con dinamiche inconsuete, filtrate attraverso quell’immaginario formatosi al di là della cortina di ferro. I ’90 a cui siamo abituati diventano qui un’eco lontana, che deve dividersi lo spazio con qualcosa di diverso, esotico come i paesaggi innevati della Russia. Da citare anche la colonna sonora, che passando dalle note vintage di Voyage Voyage di Desireless a brani pop-rock inaspettati come quelli della band mongola Soyol Erdene, contribuisce alla ricostruzione del decennio in questione, ma anche alla caratterizzazione emotiva di storie e personaggi.
Tanti elementi differenti che però si muovono insieme e che appunto sorprendono e catturano lo spettatore. Scompartimento n. 6 è un film che riesce a evocare con efficacia gli smarrimenti, i percorsi e le crescite che segnano qualsiasi viaggio: quelli veri e propri, così come quelli negli spazi emotivi di noi stessi e delle persone con cui entriamo in contatto. Ed è un film da vedere sul grande schermo, immergendosi nelle atmosfere, nei paesaggi e nelle storie, proprio come si fa quando si parte per un posto lontano.