Pubblicato il 2 Dicembre 2020.
Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, la prefazione di Francesco De Carlo al libro Che cazzo ci faccio io qui? di Richard Pryor, uscito in Italia per Sagoma. Il leggendario performer americano avrebbe compiuto ieri ottant’anni.
di Francesco De Carlo
Prima di convincervi che quello che avete tra le mani è un libro molto prezioso, lasciate che vi confessi una cosa: io di Richard Pryor conoscevo pochissimo.
E bisogna ammettere che a parte Superman III e Non guardarmi, non ti sento, a fianco di Gene Wilder, in Italia di questo comico straordinario è arrivato ben poco. Eppure, in ogni classifica dei migliori comici internazionali figura sempre tra le prime posizioni, insieme Lenny Bruce, George Carlin e ad altri nomi che hanno cambiato la storia della comicità. Perché?
Mi sono parzialmente risposto quando ho acquistato un paio di DVD dei suoi spettacoli per apprezzarne il materiale e la presenza scenica, la profondità delle storie personali che raccontava e quella confidenza naturale che sembrava avere non solo col palco, ma anche con il senso dell’umorismo dello spettatore. Ogni sguardo di Richard Pryor, ogni mossa, ogni esitazione, sembrava sottolineare in un fotogramma quanto ridicola e assurda fosse la vita e te ne convinceva, era irresistibile, non importa di cosa stesse parlando, bastava guardarlo parlare per provare un’empatia fortissima nel giro di qualche secondo.
Chiamatelo dono, chiamatelo talento, ma quell’innata capacità di far ridere “a pelle”, di cui lui stesso racconta in questo libro, è la dote rara che ha portato un giovane lustrascarpe del Midwest a diventare una delle star più splendenti nella Hollywood degli anni Settanta e Ottanta.
Ma era altrettanto chiaro che dietro quello sguardo, nascosta da una maschera tanto divertente, si nascondeva un’altra dimensione, più vera e più vissuta. Una dimensione privata, scheggiata da esperienze terribili, che sul palco diventano materiale comico (e quanto!) grazie a quell’affascinante processo di catarsi collettiva che è la stand-up comedy.
E questa autobiografia ha il merito del racconto sincero: non risparmia al lettore le scene più crude e i pensieri più indicibili che gli passano per la testa.
Nato a Peoria, Illinois, proprio nella cittadina in cui Abramo Lincoln pronunciò un famoso discorso sulla fine della schiavitù durante un comizio nel 1854, Richard sembra avere ben poche possibilità di riscatto: cresce nel bordello gestito da sua nonna dove lavorano sua madre e altre prostitute che lo introducono alla vita adulta; conosce un’educazione violenta; a 7 anni viene abusato; a 14 abbandona gli studi. Per fortuna (di tutti noi), si trasferisce a New York e comincia a esibirsi nei vari comedy club di Manhattan (dove incontra tra gli altri Nina Simone, Woody Allen e Bob Dylan).
La sua folgorante carriera tirerà fuori uno dietro l’altro demoni di cui non riuscirà mai a disfarsi completamente. La stampa spese un sacco di parole su come fossi la nuova superstar nera; però di certo c’era una cosa: che non era affatto facile essere Richard Pryor.
E il motivo per cui non era facile essere ricco e famoso, lo spiega senza mai tirarsi indietro, senza mai nascondere il dolore causato a se stesso e alle persone che gli stavano a fianco, senza mai giustificare tutte le cadute di una vita vissuta tra alcol, droghe, due infarti (il terzo gli sarà fatale), sei figli, cinque mogli e una incontenibile dipendenza dal sesso.
Per non parlare della scoperta del crack, che lo allontanò gradualmente dalla realtà, fino al famoso incidente del 1980, quando si cosparse il corpo di liquore e si diede fuoco, per poi correre in preda al delirio per le strade di Los Angeles.
Donne. Droghe. Film. Non ha importanza per cosa, ma una delle cose più terrificanti che ti possano capitare nella vita è di veder soddisfatti i tuoi desideri. Ed esattamente come accade quando si trova sul palco, Richard Pryor riesce a trasformare quella paura in un memoir tanto sincero quanto divertente, non solo per le parti relative ai suoi monologhi che scandiscono il racconto, ma anche per una straordinaria serie di aneddoti e considerazioni.
Quello che ha rappresentato Richard Pryor per la comicità è difficile da raccontare, perché non è facile misurare empiricamente l’impatto di un comico sul contesto culturale in cui vive. La libertà di parola si conquista sul campo e se oggi ci sembra scontato poter scherzare al microfono su certi argomenti è solo perché alcuni grandi artisti si sono caricati sulle spalle la responsabilità di battere una strada sconosciuta.
C’è stato un prima e un dopo. Prima di Richard Pryor non c’era un Richard Pryor. E dopo di lui, grazie a lui, sono venuti su migliaia di comici che si sono ispirati a questo genio indiscusso, hanno deciso di intraprendere questo lavoro e ci hanno regalato ore e ore di comicità.
E nel raccontarsi in questo libro, ci svela il peso di quella responsabilità, i problemi con l’industria e quelli personali, la sua costante attività di autodistruzione, in un’affascinante viaggio nel suo vissuto di eccessi, violenze, tentati suicidi, prostitute, successo e depressione. Perché, con le parole di Leonard Cohen, “c’è una crepa in tutto ed è così che la luce entra”. E in un momento storico in cui alcuni comici sono stati travolti dagli scandali per le loro condotte, vale davvero la pena sbirciare da quella crepa per guardare quella luce illuminare la sua immoralità.
Richard Pryor è stato un comico straordinario. Questo libro mi ha spiegato perché.