Pubblicato il 9 Novembre 2021.
A cura di Leonardo Rafanelli
Per arrivarci si attraversa il parco di Villa Borghese, a Roma, e camminando tra gli alberi appare all’improvviso in un angolo, un po’ come se fosse uscito da una specie di fiaba. E in effetti basta guardarlo, il Cinema dei Piccoli, per capire che qualcosa di magico c’è. Sulla facciata ci sono due occhietti da cartone animato, più qualche scritta realizzata con la pellicola cinematografica per dare una una nota vintage, come a richiamare quell’epoca in cui il cinema era di per sé una sorta di prodigio agli occhi degli spettatori. All’interno una sala piccolissima, con soli 63 posti, che però appare stranamente grande, così come sembrano grandi le sale viste con gli occhi di bambino durante le prime volte al cinema. E non è un caso, perché in questo luogo i bambini sono i protagonisti: a loro è dedicata infatti la maggior parte della programmazione, secondo una formula che va avanti dagli anni ’30 del novecento. Un’esperienza ormai classica, a Roma, eppure unica.
“Questo posto non è sempre stato così”, ci racconta Roberto Fiorenza, che ormai da più di 40 anni gestisce la sala insieme alla compagna Caterina Roverso. “Una volta – spiega – la struttura era molto diversa, e consisteva in sostanza di poche assi di legno. Negli anni, però, ci abbiamo creduto, migliorato le cose e lavorato con attenzione al nostro pubblico specifico e alla tradizione di questo luogo”.
Un percorso, quello del Cinema dei Piccoli, specifico, ma che ha molto da dire anche sul futuro del nostro cinema. Così, seduti proprio nel cuore di Villa Borghese, ci siamo fatti raccontare questa storia suggestiva, antica e attualissima allo stesso tempo.
Cominciamo proprio dalle origini : com’è nato il Cinema dei Piccoli?
Il Cinema dei Piccoli è nato nel 1934, da un signore che si chiamava Alfredo Annibali. Era un impiegato del comune di Roma ed era appassionato di cinema. Cominciò questa attività un po’ come secondo lavoro, e questo cinema era nato un po’ come una cosa provvisoria: era una casetta di legno, molto povera. Dentro c’era un proiettore, sedie di legno impagliate, e venivano proiettati i film per i bambini.
Che proiezioni si facevano nei primi anni?
Il primo proiettore era muto, anche se all’epoca il sonoro già esisteva, e poco dopo fu aggiunto anche qui. Venivano proiettati i primi “Topolini”, aggiungendo magari anche un documentario e un cinegiornale, per arrivare a uno spettacolo di circa mezz’ora. Molti romani chiamavano questo cinema proprio “La casa di Topolino”, per via di una sagoma del noto personaggio Disney.
Un cinegiornale in uno spettacolo per bambini?
Beh, si metteva un po’ di tutto, aggiungendo quello che si trovava. In quegli anni la magia era ancora il cinema stesso, a prescindere da quello che si proiettava. E bisognava arrivare appunto a uno spettacolo di mezz’ora. Qui vicino, dove ora c’è la Casa del Cinema, una volta c’era la Casina delle Rose, un famoso caffè con ristorante. Ci facevano anche i Nastri d’Argento, era un posto molto alla moda. L’idea era un po’ quella di lasciare i bambini al Cinema dei Piccoli per questa mezz’ora, andarsene al Caffè, e poi venirli a riprendere.
E lei come è arrivato qui?
Nel dopoguerra, dopo la morte di Annibali, la gestione fu affidata al figlio Giuliano. Mio padre, operatore culturale che nasceva come distributore, in quel periodo cercava una piccola sala, e nel 1974 fece un accordo per far diventare il Cinema dei Piccoli, alla sera, un cinema d’essai. Un sorta di cineclub, per capirsi. Fu subito un successo, tanto che i cinema circostanti si opposero un po’ e tirarono in ballo questioni burocratiche per farla restare esclusivamente una sala per bambini. Ci fu pure un momento di chiusura, ma la cosa fu risolta e mio padre diventò socio al 50 per cento. Pochi anni dopo, tuttavia, decise di dedicarsi principalmente all’Estate Romana, mentre Giuliano Annibali si sposò e pensò di vendere questo cinema. Così lo rilevai io, insieme alla mia compagna Caterina. Era il primo gennaio 1980, e noi avevamo poco più di vent’anni. Da allora siamo qui.
In tutti questi anni avete sempre messo al centro il cinema d’animazione…
Proprio così. Mio padre era più appassionato di cinema d’essai, e ancora oggi manteniamo uno spazio dedicato a questo. Ma noi abbiamo voluto conservare prima di tutto il legame con la tradizione che ha fatto nascere questo luogo: ci siamo informati, aggiornati, e abbiamo puntato sul cinema d’animazione. Negli anni ha sempre funzionato: oggi per tanti motivi non è più così, ma ricordo che il sabato c’era sempre la fila.
Si ricorda qualche film che è andato particolarmente bene?
L’uscita annuale della Disney è sempre stata centrale. Poi mandavamo altri film di repertorio. Facevamo quello che si chiamava “il programmino”. Ma se devo pensare a un nostro successo, direi La freccia azzurra, che uscì a Roma e poi fu abbandonato da tutti. Restammo solo noi a proiettarlo, e facevamo tre pieni al giorno: una cosa oggi inimmaginabile. Un altro film che è andato benissimo è Kirikù e la strega Karabà.
Oggi, se si parla di intrattenimento per bambini, c’è tanta concorrenza: ma anche negli anni ’90 c’era il VHS.
Sì, e a questo proposito mi ricordo un episodio: una bambina, passando davanti al nostro cinema e vedendo la locandina, disse “Ce l’ho a casa”. Il VHS ha un po’ segnato una crisi, ma ci ha stimolati a cambiare: abbiamo cercato una programmazione diversa, con più prime visioni e meno repertorio. Oggi ci sono le piattaforme, c’è internet. Ma secondo me la sala per bambini continua a reggere bene, perché chi vuole andare al cinema ci va, e chi vuole portarci i bambini ce li porta. Il covid, invece, ha segnato di più la situazione. Molte persone hanno deciso di evitare i posti al chiuso, e ci vorrà del tempo per tornare ai numeri di prima. Certo, è difficile fare previsioni, e la situazione è complicata per tutto il mercato del cinema. Ma più che una disaffezione, direi che c’è una disabitudine: una volta, magari all’improvviso durante un’uscita serale, si diceva “Che facciamo, andiamo al cinema?”. Oggi invece si pianifica in precedenza, non è più un’opzione dell’ultimo momento. Secondo me ci vorrà del tempo per tornare ai numeri di prima della pandemia. In più, un cinema come il nostro ha perso per ora anche le scuole, con cui lavoravamo tantissimo organizzando percorsi e laboratori. Una riflessione, vista anche la situazione che stiamo attraversando, potrebbe essere fatta anche sulla mancanza di meccanismi premianti e di agevolazioni a livello legislativo per chi si occupa nello specifico di film per ragazzi. È un qualcosa che invece già esiste in altri settori, come ad esempio nel cinema d’essai.
Qual è secondo lei il punto di forza di una sala come questa, guardando al futuro?
Lavoriamo molto sul pubblico, e si tratta di un pubblico affezionato. In tanti scelgono di venire qui invece che andare altrove. Secondo me è un approccio che potrebbe funzionare per tanti altri: creare un rapporto umano con le persone.
Parliamo un po’ di cinema d’animazione: com’è oggi rispetto al passato?
A me piace più il 2D, devo ammetterlo: un lavoro più artigianale. Ma per i bambini non sempre è così: il 3D richiama di più. In ogni caso direi che il problema principale è legato alle storie, che si stanno ripetendo un po’ troppo. C’è poca voglia di sperimentare, e c’è da dire che i film più difficili poi non vanno molto bene. Inoltre mi sembra che l’animazione sia oggi meno pura, più contaminata da internet e videogame. Mi ricordo, ad esempio, i layout in bianco e nero dei film della Disney al festival di Annecy: erano meravigliosi. Quelli de Il Gobbo di Notre Dame, per dirne uno, erano spettacolari. Poi, alla fine della lavorazione, venivano appiattiti, perché se l’immagine era troppo “difficile” vendeva meno. Diciamo che oggi si è un po’ intensificato anche questo approccio.
Ci sono film che negli ultimi anni le sono piaciuti?
Ernest e Celestine mi è piaciuto tantissimo. Ma anche Zootropolis e Spiderman – Un nuovo universo sono molto belli. Poi ci sono i film della Laika, come Mister Link e Boxtrolls: loro fanno stop-motion, e sono veramente bravi e innovativi.
In Italia come siamo messi?
L’esperimento più riuscito, che riuniva le migliori forze dell’animazione italiana, è stato quello di Enzo D’Alò, ma non si è andati oltre. Ci sono piccoli animatori molto bravi, ma la situazione non è delle più entusiasmanti. La Francia continua a essere la nazione più valida, per questo settore.
Per chiudere torniamo un attimo a parlare di lei, ma stavolta come spettatore: cosa si ricorda delle sue prime volte al cinema?
Mio padre mi portava tantissimo al cinema. Tanti film per bambini, ovviamente, e a volte anche d’essai: mi ricordo di aver visto, per esempio, Buñuel a 5 anni. Non ricordo però di esser stato portato qui al Cinema dei Piccoli. In ogni caso il grande schermo è sempre stato nella mia vita. Non posso dimenticare, per esempio, le copie dei film russi che mio padre distribuiva, allineate nel corridoio di casa dove giocavo a pallone. Il cinema mi ha accompagnato da sempre.