Pubblicato il 19 Luglio 2021.
Pubblichiamo un estratto del libro di Roberto Lasagna ‘Nanni Moretti. Il cinema come cura’’ edito da Mimesis Edizioni che ringraziamo.
Il Nuovo Sacher e Nanni attore
(perché il cinema lo si ama e lo si vive intensamente – come una cura appunto)
A fianco della Sacher Film, che dal 2007, in seguito alla fuoriuscita di Angelo Barbagallo, sarà gestita dal solo Moretti, la passione del cineasta lo porta a prendere in gestione e ristrutturare un’antica sala cinematografica nel quartiere romano di Trastevere, il Nuovo Sacher, che apre i battenti il primo novembre del 1991 con la proiezione di Riff Raff di Ken Loach. Una sala cinematografica in cui Moretti cerca un suo pubblico, confermando l’attenzione per il cinema “impegnato” ma fuori da rigidi schemi anche attraverso l’attività di esercente e, molto presto, anche di distributore. Un film sicuramente “impegnato” è La seconda volta (1995), diretto da Mimmo Calopresti, che lo vede coinvolto anche come interprete protagonista. Un’altra coproduzione Sacher importante, realizzata con la Banfilm e La Sept Cinéma, conferma della predilezione di Moretti per un cinema riflessivo, che guarda alle lacerazioni del suo paese e alle collaborazioni con giovani autori in grado di portare uno sguardo nuovo.
Con la sensibilità di Mimmo Calopresti, La seconda volta diviene il primo momento di quel cinema sospeso e investigante a cui il regista di Polistena ci abituerà, disegnando per Moretti il personaggio di Alberto Sajevo, professore universitario sopravvissuto a un attentato terroristico che un giorno incontra Lisa, la terrorista che dodici anni prima aveva tentato invano di ucciderlo sparandogli un colpo in testa. Il film, che fa vincere all’ottima Valeria Bruni Tedeschi il David di Donatello, vive della presenza di un motivo persecutorio, quello che ritroviamo nel finto corteggiamento di Alberto a Lisa, ruolo ambiguo di colui che finge per avvicinarsi a chi sfugge, la terrorista che lui incontra casualmente e poi pedina, mandandole dei fiori in ufficio e attendendo la telefonata di lei. Donna che invece non lo riconosce, ha dimenticato e vuole dimenticare.
Si presero molta attenzione, all’uscita del film, le esternazioni di Moretti contro la mostruosità e la povertà del terrorismo. Ma il film ha l’intelligenza di parlare di un momento di vita vissuta, a cui Bruni Tedeschi e Moretti restituiscono la capacità di esprimere i vuoti di comprensione, grazie a una regia fatta di sottrazione, che resta a interrogarci su due mondi – legati da un evento drammaticamente intenso – quello di una ex-terrorista che viveva in uno stato di guerra e continua a patirne le conseguenze e quello di un individuo che non comprendeva, né ancora oggi si capacita, di quanto accaduto. Il film è piuttosto esemplarmente la vicenda di due persone, raccontata da Calopresti con l’aiuto di Moretti, anche produttore, intenso nel suo ruolo che lo vede ferito, fisicamente e politicamente. Con un piccolo film essenziale, dove i dialoghi superficiali dei due protagonisti nascondono la dimensione del disagio profondo. Quel disagio che interessa a Moretti quando finisce per apparire anche un po’ come l’inquisitore accusando il terrorismo in conferenza stampa, quando invece giornalisti e intellettuali si offrono viceversa un po’ come liberali iper-tolleranti nei riguardi di chi mise mano alle armi. Ma non c’è nemmeno tanto da stupirsi e un film come Aprile, che uscirà nelle sale tre anni dopo La seconda volta, vedrà un Moretti sempre più insofferente nei confronti di quei giornalisti pronti a vendersi e a dimenticare il compito di documentare, di osservare e restituire il volto vero del reale. Quel volto che per Moretti è fatto di contraddizioni da portare alla luce, come nel racconto finemente condotto dall’attenzione sensibile di un Mimmo Calopresti che si fa strada come regista del racconto intimo mai banale.
Moretti tornerà a recitare in un ruolo da protagonista per il film Caos calmo diretto da Antonello Grimaldi nel 2006. Dal 2001, dopo aver vinto la Palma d’oro per La stanza del figlio, ha realizzato altri tre film come regista, Il caimano, Habemus Papam e Mia madre, e la partecipazione al film di Grimaldi restituisce centralità alla sua figura d’attore più di quanto non facciano i film che dirige, dove spesso, pur prendendovi parte anche come attore, lascia maggiore spazio ad altri personaggi in quello che è un momento molto particolare del suo percorso, dove il lavoro sui personaggi prepara il confronto con stati emotivi di afasia e dolore.
Caos calmo vede Moretti tornare nei panni di Pietro Paladini, un dirigente della televisione che si trova al mare con il fratello Carlo (Alessandro Gassman) e, casualmente, salva una sconosciuta (Isabella Ferrari) che sta per annegare. Tornando a casa, scopre che la moglie è morta da sola in casa, per una caduta, e la sua vita viene sconvolta da un dolore che rimane come chiuso in fondo al cuore, bloccato. Pietro capisce che la sua incapacità di provare un sentimento non è normale, lo porta in un “caos calmo” rispecchiato dalla decisione di non andare più in ufficio, di restare sulla panchina dei giardini di fronte alla scuola frequentata dalla figlia Claudia, la quale potrà salutare il padre dalla finestra durante l’intervallo e ritrovarlo alla fine delle lezioni. Quel filo profondo che lega il padre e la figlia è l’intimo legame ribadito dalla promessa fatta alla figlia di aspettarla là, ogni giorno. Una promessa sempre mantenuta, a sopperire la sua assenza durante la morte della madre, forse in attesa di quel dolore che tarda ad arrivare e che sigilla Pietro in un’assenza di elaborazione. Nel giardino si crea un nuovo punto di vista, con nuove abitudini, attenzioni verso l’umanità che lo popola e nella ripetizione dei gesti viene a esprimersi una nuova calma con il ragazzino down sempre pronto a sorridere quando Pietro fa suonare la chiusura della sua auto mentre la bella Jolanda (Kasia Smutniak) accompagna il cane e ogni giorno incrocia lo sguardo di Pietro conoscendolo sempre un po’ di più.
Moretti, il quale aveva affrontato la condizione della morte del figlio nel film del 2001, riprende il tema dell’elaborazione del lutto, però da un’altra prospettiva, perché ciascuno affronta la sofferenza a modo proprio. C’è chi sceglie di parlarne con qualcuno, e parlandone condivide il dolore; altri, come Pietro, sente che il dolore non emerge, allora si prende tempo, cerca il momento giusto per trovare il contatto con quel dolore che rappresenta la strada verso la guarigione. Nel film, Pietro non va da uno psicologo come gli consiglia la cognata (Valeria Golino), che lo accusa di non aver amato la sorella. Pietro cerca un’altra strada. Ma finisce lui stesso per diventare un po’ il confessore degli altri, a cominciare dalle confidenze espresse dal collega della società in cui lavora, la cui moglie, in pieno disturbo dissociativo, non si accorge di spiattellare ai convenuti le sue fantasie più indisponenti, per continuare con quelle della cognata la quale rivanga il flirt avuto con Pietro prima del matrimonio. Legami che Pietro sorveglia, mostrandosi un amico ragionevole, dando voce a un Nanni Moretti particolarmente umano, dove le punte ossessive di Michele Apicella lasciano spazio a una dimensione, appunto, di “caos calmo”, con una misura recitativa di alto livello. Quello di Pietro è il personaggio che porta Moretti – con la sceneggiatura scritta dallo stesso autore assieme a Laura Paolucci e Francesco Piccolo – ad affermarsi come attore misurato, figura smarrita e in cerca di qualcosa, padre collaborati- vo con la giovane figlia Claudia (Blu Yoshimi) a cui legge le favole selezionate prima di addormentarsi, fratello di Alessandro Gassman, cui dà bonariamente del tossico quando la sera fuma l’oppio che finisce per provare anche lui. Il film è un’esperienza per lo spettatore che ottiene di conoscere da un’altra prospettiva aspetti di Pietro, proprio mentre il personaggio vive restando apparentemente immobile sulla panchina, in realtà rimanendo tutt’altro che estraneo al mondo attorno: amici, colleghi, capi, continuano a interagire con lui, a cominciare dalla segretaria interpretata da Alba Rohrwacher.
Volti del passato e del presente si affacciano rivolgendo a Pietro le loro angosce, mentre gli viene anche chiesto di assumere l’incarico che lo porterà a capo della compagnia, allorquando egli esita, ne condivide solo l’aspetto apparentemente positivo con la figlioletta, la quale sembra essere il centro di tutti i suoi pensieri più intensi. E Pietro da consolato diventa colui che ascolta e conforta. Un’altra versione del prete o dello psicoanalista, per un film che permette al cineasta, in veste d’attore, di estendere la riflessione in territori esplicitamente esistenziali, con elementi che, rispetto al romanzo di Veronesi creano momenti di tono più lievi, tra cui la scelta di ambientare la quotidianità di Pietro sulla panchina e non dentro l’auto. Il nuovo punto di osservazione diviene allora un luogo di socialità posto nella giusta distanza tra il proprio raccoglimento e il mondo intorno al personaggio. Pietro rappresenta per Moretti, e ciò valendo per tutti i personaggi portati da lui sullo schermo, un particolare momento di sé nel momento storico che sta vivendo. Caos calmo è la parte di Moretti che richiede di frenare la corsa di una quotidianità impazzita anche in compiti lavorativi che portano via il personaggio dallo stato di osservatore sospeso, meditativo, contemplativo. Quest’ultimo, sembra un controcanto filosofico che finisce per essere occasione di altre prospettive, della possibilità di ascoltarsi, di aprirsi al mondo, di darsi all’incontro. A scuola, la piccola Claudia scopre il significato dei fatti irreversibili, e parlandone con il padre, affiora nel racconto di Caos calmo il tema di una possibile reversibilità di alcuni aspetti della vita e di altri che non posseggono lo stesso destino. L’incontro con la donna salvata (Isabella Ferrari), la quale si scoprirà di essere l’amante del magnate della compagnia in cui lavora Pietro, è motivo per un corpo a corpo di pura passione sessuale, dopo il tuffo coraggioso in mare di Pietro che le salvò la vita e neppure guardò se se lei fosse carina (come gli chiese invece il fratello sempre eccitato). Una fisicità che diviene motivo di risveglio, assieme al calore di una socialità che lo invita a condividere, per esempio, la pasta al pomodoro con un osservatore generoso, mentre la vita scorre, e lentamente il dolore si trasforma nel pianto che accompagna il suo vagabondare in auto.
Sorvolando sulle polemiche che, settimane prima dell’uscita di Caos calmo nelle sale cinematografiche italiane, vedevano scendere in campo contro la scena di sesso tra Nanni Moretti e Isa- bella Ferrari addirittura alcuni politici e la Conferenza Episcopale italiana, si può affermare come il film di Grimaldi, che coinvolge anche in una sequenza fulminante Roman Polanski, registri, tramite l’interpretazione di Nanni Moretti, motivi di attraversamento di particolari stati psicologici in cui il cineasta rivela parti di sé. Qui l’interpretazione dimostra misura e generosità in un film che perde un po’ della plausibilità della prima parte ma regala attimi di riflessione sulla vita e sulla morte con il protagonista che ritrova tratti del personaggio morettiano (se la prende con il telefonino regalato dallo zio alla figlia senza chiedere prima il suo permesso e poi telefona utilizzando proprio quel telefonino, oppure si fuma una canna anni dopo essersela fumata in Aprile). La calma interiore, ritrovata, vuole essere da sprone anche per lo spettatore, affinché la ricerchi e la conservi: assieme al personaggio, potrà forse essere mantenuta conservando l’effetto di quel cambiamento, di quell’elaborazione del lutto che è poi il rovesciamento dell’ossimoro di cui si parla nel racconto.
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Nanni Moretti
Il cinema come cura
Roberto Lasagna
Pagine: 156
Pubblicazione: 2021
Prezzo: 14 euro